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Segno dell’amore di Dio e della comunione trinitaria, il matrimonio rende l’uomo e la donna partecipi della fecondità di Dio, comunica loro la grazia e la gioia del dono nella reciprocità.
Elemento fondamentale della società civile, il matrimonio è reso sacramento, ossia è consacrato, perché concorre non solo allo sviluppo della civiltà terrena, ma anche al compimento del Regno di Dio in quanto è espressione del desiderio di vivere nell’amore ed è luogo in cui la vita nasce, cresce e si sviluppa. Benché carico di questo significato, esso resta ancora un “segno”, una realtà che appartiene al tempo.
Come il matrimonio, anche la consacrazione verginale è alleanza nuziale, ma stretta con Dio in modo esclusivo ed assoluto, senza la mediazione di un’altra persona. Per questo essa è una primizia vita celeste e rende il religioso o la religiosa già appartenenti al mondo futuro, e fa di essi, per tutti, un “segno escatologico”, un ‘indicazione della meta verso cui l’intera umanità redenta da Cristo è in cammino.
Essa è infatti la sposa che egli attira a sé, unendola con un vincolo di amore eterno. Nella varietà dei carismi, ai consacrati è dato di vivere già durante la vita terrena un anticipo delle nozze eterne e di essere, in certo modo, nel tempo quello che tutti sono chiamati a diventare nell’eternità.
La grazia del matrimonio rende sacra la “vita ordinaria”: trasfigurando l’amore umano, lo orienta ad un fine soprannaturale e lo apre a una dimensione interpresonale che lo libera da quella che potrebbe essere una ricerca egoistica di piacere personale, istintivo e passionale, che lo renderebbe – come purtroppo oggi si constata sempre di più – estremamente debole e sottoposto all’instabilità dei sentimenti umani. La vita consacrata è un carisma “ eccezionale”, nel senso che è come un passo oltre, è come una presa di possesso di una realtà che nel norma è ancora e soltanto una promessa. Non si tratta però – occorre dirlo con chiarezza – di un privilegio che formi delle differenze, ma di una chiamata che impegna ad essere maggiormente, anzi esclusivamente, dediti al bene comune.
Inoltre nella varietà dei carismi, la vita consacrata svolge anche il ruolo di mettere in evidenza il valore dell’amore delle nozze umane. Queste, infatti, benché abbiano un fine terreno ben preciso, sono ultimamente in ordine alle nozze divine. Perciò, gli sposi hanno nei consacrati un’indicazione, un segnale della meta che devono raggiungere attraverso il loro matrimonio. Guardando a loro, essi apprendono che devono vivere la loro unione in vista della definitiva comunione con Dio.
Coloro che vivono la verginità consacrata vedono nel matrimonio l’incarnazione dell’amore di Dio, vi scorgono un ulteriore segno dell’umiltà e della benevolenza di Dio che rende le creature partecipi del suo amore fecondo e le chiama a collaborare al suo disegno di salvezza universale anche attraverso il loro amore umano, sensibile.
I numerosi testi della Scrittura che riguardano il rapporto nuziale di Dio con Israele, il popolo eletto, hanno come vero significato l’alleanza di Dio cone la Chiesa-umanità. Per questo sono testi utilizzati tanto per il sacramento delle nozze quanto per la consacrazione verginale, come pure nella celebrazione delle feste della Chiesa e di Maria, che della Chiesa è il membro eminente, già perfettamente realizzato.
Un posto del tutto particolare a questo riguardo spetta al Cantico dei Cantici che la liturgia impiega veramente con intelletto d’amore per esprimere la bellezza della Chiesa e la bellezza dell’anima che si consacra a Dio. In queste pagine trova voce lo struggente anelito della sposa che si sente smarrita nella sua solitudine, ma trova piena espressione anche l’ardente desiderio dello Sposo che ricerca la sua sposa per sovrabbondanza d’amore:

Una voce! Il mio diletto!
Eccolo, viene
saltando per i monti,
balzando per le colline.
(Ct 2,8)

Ora parla il mio diletto e mi dice:
«Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni!
(Ct 2,10)


Questo testo si addice in modo più proprio per la consacrazione verginale, perché il Diletto è Lui, l’anima va direttamente a Lui; quando invece si tratta del matrimonio lo sposo fa le veci del diletto e la sposa fa le veci della Chiesa.
Nella consacrazione verginale la sposa è l’anima che desidera:

Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la passione:
le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio.
(Ct 8,6-7)


e san Paolo dirà:

Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?
(Rm 8,35)


In Isaia 62 lo sposo è l’amore appassionato del Signore per Gerusalemme, immagine della sposa, immagine dell’anima consacrata.

Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma tu sarai chiamata Mio compiacimento
e la tua terra, Sposata,
perché il Signore si compiacerà di te
e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposerà il tuo architetto;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te.
(Is 62,3-5)


Il Signore redime l’anima e poi la unisce a sé con immenso amore e le pone intorno sentinelle, e la chiama veramente suo compiacimento, sua delizia.

Perciò, ecco, la attirerò a me,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore.
Le renderò le sue vigne
e trasformerò la valle di Acòr
in porta di speranza.
Là canterà
come nei giorni della sua giovinezza,
come quando uscì dal paese d’Egitto.
E avverrà in quel giorno
- oracolo del Signore -
mi chiamerai: Marito mio,
e non mi chiamerai più: Mio padrone.
Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa
nella giustizia e nel diritto,
nella benevolenza e nell’amore,
ti fidanzerò con me nella fedeltà
e tu conoscerai il Signore.
(Os 2,16-18. 21-22)


Questo è un testo ricco di intensità, il rapporto dell’amore è così assoluto che implica il ricupero della libertà del cuore per potersi donare a Colui che è l’Amore. Amate l’amore, amatelo senza misura, perché u amore infinito lo si può ricambiare solo amando senza misura.

«Ti ho amato di amore eterno,
per questo ti conservo ancora pietà.
(Ger 31,3)


La pietà, la bontà, la compassione del Signore è tale che si china sulla creatura e la attira, la riscatta dalla vanità e la pone accanto a sé partecipe della sua vita e della sua gloria. La verginità consacrata è proprio un dono del Nuovo Testamento, dono di Gesù Risorto. Gesù parla chiaramente del valore della verginità e fa intuire che è un dono eccezionale, è dono di Dio viverlo già qui.

Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».
(Mt 19,10-12)

La nuzialità della vita eterna consiste nell’essere uniti per sempre al Dio vivente, essere partecipi in pienezza della sua vita; non ci sarà più la morte, non sarà quindi più necessaria la generazione che invece appartiene al tempo presente perché deve essere garantita la continuità della specie. Nella risurrezione la vita sarà per sempre donata e si vivrà in pienezza in Dio che è tutto, e Dio che è la pienezza, la vita, l’Amore sarà tutto in tutti.
Nella risurrezione dei morti non si prenderà più né moglie né marito:

Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo.
(Mt 22,30)

Nel cap. 25 del Vangelo di Matteo Gesù parla del suo ritorno glorioso e dell’ingresso nella vita eterna al compimento della storia con l’immagine delle vergini che vanno incontro allo sposo.

Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.
(Mt 25,1-13)

Tutta la Chiesa, l’umanità è la sposa che va incontro allo sposo che arriva, e deve vegliare perché lo sposo arriva nella notte, all’improvviso; deve tenersi pronta, e le lampade devono essere alimentate con l’olio della fede, della speranza, dell’amore, della preghiera.
San Paolo che viveva il dono della verginità, ne parla con quel pudore proprio di uno che si rende conto di aver ricevuto un dono.

Quanto alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa della presente necessità, di rimanere così.
(1 Cor 7,25-26)

Anche il matrimonio deve essere vissuto con la consapevolezza che è provvisorio, mentre la realtà futura ed eterna è la nuzialità con Cristo nella carità e nell’unità.

Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero.
(1 Cor 7,29)

Essendo imminente la venuta del Signore, la cosa migliore è di trovarsi già con il cuore totalmente in Lui, già totalmente liberi.

Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito.
(1 Cor 7,34)


Le cose del Signore sono la lode, la preghiera, la carità, tutto quello che è inerente alla vita celeste, perché essa possa essere santa nel corpo e nello spirito, tutta resa degna di prendere parte a questa unione anche nella carne e nel corpo, in quanto unita al Cristo Risorto dai morti, con una relazione strettissima tra la verginità e l’Eucaristia.
Questo dono grandissimo ci viene fatto anche per gli altri, oltre ad essere un dono per noi perché possiamo vivere senza dispersione, senza divisione. Nell’unione con Dio, quindi, possiamo vivere come se già fossimo in cielo; inoltre attraverso le vergini consacrate la Chiesa manifesta la sua santità e il suo destino escatologico. Le vergini sono un segno escatologico che richiama anche quelli che vivono nella realtà temporale al fine ultimo; è un aiuto a purificare l’amore, perché l’amore tra i coniugi non sia puramente naturale, egoista, possessivo, chiuso in un vicolo cieco, ma sia aperto all’amore di Dio, all’universalità, all’eternità.
La verginità è prima di tutto fede pura e fedeltà: l’orientamento è sempre al ritorno del Signore, perché i vergini sono come sentinelle in attesa del suo ritorno.

Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime.
(1Pt 1,8-9)


Siamo quelli che pur senza averlo visto credono e amano lo sposo. Egli è sempre quel Diletto atteso e sempre rievocato, che ci chiede sempre prove di fedeltà nell’attenderlo, anche se tarda a manifestarsi, anche se non fa sempre sentire la sua voce e non fa percepire la sua presenza.
La consacrazione della verginità sente come esigenza una separazione dal mondo. La persona consacrata è come un vaso, un vaso da altare da custodire con delicatezza; deve tenere intatto il cuore nell’amore per Cristo e quindi evitare, proprio perché deve diffidare delle proprie forze, tutto quello che può distrarre e distogliere dal Signore, che può corrompere, per non lasciarsi sedurre dal maligno e dal male.
San Benedetto nel capitolo che riguarda l’incorporazione dei monaci nella comunità ricorda al neo-professo che quanto sta facendo è una cosa molto seria e non può prendersi gioco di Dio.

Il novizio che deve essere accolto prometta nell’oratorio, alla presenza di tutti, stabilità, conversione di vita e obbedienza.
(RB 58,17)


È come la sposa che chiede di seguire lo sposo, di abitare con Lui, per questo la stabilità è veramente un aspetto fondamentale della nostra unione con il Signore: ci leghiamo a Lui con il nostro legame con la comunità, quindi se non ci leghiamo alla comunità siamo adulteri, infedeli al vincolo nuziale, abbandoniamo il tetto, la casa dove siamo stati accolti per vivere la nostra nuzialità con Cristo, ci separiamo dal corpo di Cristo che è la comunità.
Per vivere degnamente nella casa del Signore bisogna continuamente conservarsi puri e impegnarsi nella santificazione.
La conversione del cuore è l’obbedienza che anche nel matrimonio umano si attua: la sposa deve obbedire allo sposo, quindi l’obbedienza che noi diamo a Dio è obbedienza sponsale, obbedienza d’amore. La nostra obbedienza è vera se è per amore, altrimenti è inutile, non esprime il nostro dono totale al Signore, la nostra nuzialità; il nostro “sì” nuziale è continuamente proferito attraverso la nostra vita consacrata, la nostra adesione alla volontà di Dio.

L’impegno è preso di fronte a Dio e ai suoi santi perché se in futuro agirà diversamente sarà condannato da Colui del quale si fa gioco.
(RB 58,18)

Il matrimonio avviene davanti a testimoni, e anche la nostra Professione avviene davanti a testimoni. Mettiamo la nostra scheda sull’altare firmata e controfirmata dall’abate, perché è un atto ufficiale e pubblico che ha valore di giuramento. Nella Professione solenne il Signore nella persona del Vescovo ci mette l’anello sacerdotale che non possiamo ritirare con tutta leggerezza.

Fatto questo, il novizio intoni subito il versetto: Accoglimi, Signore, secondo la tua parola, e avrò vita; non deludermi nella mia speranza.
(RB 58, 21)

Il canto esprime la gioia di appartenere al Signore, è simbolo di offerta, di fiducia, di speranza: significa chiedere che la mia speranza, la mia attesa non venga delusa, perché questa mia gioia, questa attesa come primizia nella speranza è vissuta non ancora pienamente, ma in modo velato.

Tutta la comunità riprenda per tre volte questo versetto e vi aggiunga infine il «Gloria al Padre».
(RB 58,22)

A testimonianza di quanto è avvenuto, la comunità conferma la promessa e rende gloria a Dio per quanto Egli fa, per quanto opera nella sua creatura; allora consegnandoci consapevolmente con la propria debolezza e fragilità, chiediamo umilmente la preghiera a tutti i fratelli per essere sostenuti nell’impegno della fedeltà.

Allora il neo-professo si prostri ai piedi dei singoli fratelli chiedendo che preghino per lui. E da questo giorno sia considerato membro effettivo della comunità.
(RB 58,23)

Quel gesto è anche un consegnarsi al Signore nella persona di ciascuno attraverso ogni membro della comunità. Il suo corpo e tutto quello che gli appartiene prima di tutto appartiene alla comunità, quindi ormai non si appartiene più.

Se egli possiede dei beni, li distribuisca ai poveri, oppure, con atto legale di donazione, li ceda al monastero, nulla riservando per sé, poiché sa di non essere ormai più padrone nemmeno del proprio corpo.
(RB 58 24-25)

Ora apparteniamo al Signore corpo e anima.

Subito, dunque, lì nell’oratorio, sia spogliato dei propri abiti e rivestito con quelli del monastero. Gli indumenti di cui è stato spogliato siano però conservati nel guardaroba, perché se un giorno, cedendo alle suggestioni del maligno, egli dovesse – ma non sia mai! – abbandonare la vita monastica, gli si tolgano gli abiti del monastero e lo si faccia uscire con le sue vesti proprie.
(RB 58,26-28)

L’abito lo riceve dalle mani stesse del Signore, l’abito di Cristo che è Cristo di cui siamo rivestiti interiormente.

In tal caso non gli sia invece restituita la scheda di professione che l’abate aveva preso dall’altare; essa sarà sempre conservata in monastero.
(RB 58,29)

La scheda viene ritirata dalle mani dell’abate, quindi dal Signore stesso, e conservata per sempre in monastero come un atto che dichiara per sempre che un atto irrevocabile è stato fatto e rimane, non si può cancellare; si può rinnegare la propria scelta, ma si rimane per sempre legati al Signore.
La grandezza e la bellezza di questo dono richiedono una grande serietà e responsabilità nell’accoglierlo e nel custodirlo, sempre vedendolo come un dono che il Signore fa alla sua Chiesa, all’umanità, non a una singola anima solo per se stessa. Il Signore dispensa i suoi doni per condurre tutti facendo in modo che diventiamo strumenti di salvezza gli uni per gli altri. Il nostro dono è al servizio della Chiesa e di tutta l’umanità ed è un segno di grande speranza e anche di gioia, perché tutte le cose di quaggiù finiscono, passano, ma questa realtà non passa, e allora i nostri fratelli possono vedere che c’è qualcosa di eterno a cui anch’essi sono chiamati attraverso vie diverse ma che devono condurre all’unica meta, all’unione nuziale.
Il nostro legame con il Signore non può essere limitato, è totale, e ci chiede di essere disposte a tutto, per sempre fin dalla Prima Professione, di cui la Professione Solenne è una conferma.
State per fare un grande passo, e il Signore ve ne dia la grazia e la gioia; accogliete con gratitudine il suo dono cantando nel vostro cuore il canto della sposa, che è l’umanità che non si sente abbandonata e desolata, ma amata e ricercata per essere tutta salvata.

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