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Rivolta a comunità cristiane che soffrono persecuzione e sono tentate di venir meno nella fede, la prima lettera di Pietro vuole infondere coraggio nei credenti, dare loro speranza, consolarli. Essa si rivela dunque particolarmente eloquente anche per noi che, pur non subendo aperte ostilità, tuttavia respiriamo un’aria inquinata di paganesimo, di idolatria, siamo immersi in una mentalità in netto contrasto con il Vangelo e rischiamo di morire di asfissia senza che ce ne accorgiamo.
In particolare, per ravvivare il nostro “sentire cum ecclesia”, il nostro senso ecclesiale, importanti si rivelano le ultime raccomandazioni che l’apostolo rivolge ai presbiteri, cioè agli anziani responsabili della comunità, ai giovani e a tutti i fedeli, riprendendo e sintetizzando i temi svolti negli altri capitoli della lettera.
Nella prima parte, l’apostolo ha esortato a corrispondere alla vocazione cristiana con la santità della vita, che si realizza nell’amore verso Dio come contraccambio al suo amore, e nell’amore verso il prossimo come conseguenza dell’amore che Dio ha per noi: il dono ricevuto diventa dunque per il cristiano non “possesso” e “ricchezza” personale, ma dono da offrire, da comunicare come bene comune.
Pietro ha poi specificato i diversi doveri che i cristiani hanno sia verso le proprie comunità ecclesiali sia nei confronti della società, sottolineando soprattutto l’importanza di una vita “virtuosa”, impregnata di umiltà, pazienza, benevolenza, e spesa nel servizio e nella solidarietà fraterna. Là dove i credenti sono tra loro fortemente uniti, diventa più facile essere saldi nella fede, forti nelle persecuzioni, capaci di camminare seguendo le orme che Cristo ha lasciato, senza deviare verso più comodi sentieri, che hanno però come mèta la morte.
Per essere così compatta, una comunità ha bisogno di guide sicure, sapienti. Pietro perciò, presentandosi come “testimone” delle sofferenze di Cristo, dice agli “anziani”, ossia al vescovo e ai presbiteri:

Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce (1Pt 5,1-4).

I pastori, gli “anziani” sono uomini di fiducia ai quali il Pastore grande, Cristo stesso, ha affidato il suo gregge che essi devono servire con umiltà per condurlo al Signore, e non sfruttarlo per trarne un profitto personale.
L’esortazione si rivolge anche ai giovani: siano sottomessi e obbedienti, accogliendo il servizio e l’autorità degli anziani come da Cristo stesso, che essi realmente rappresentano.
A tutti poi ribadisce la necessità di “rivestirsi di umiltà”: umiltà nei confronti di Dio e umiltà verso i fratelli, perché soltanto nell’umiltà si può coltivare la carità, e questa a sua volta diventa servizio, aiuto reciproco, comunione che edifica la Chiesa, facendo di tutti un solo corpo, un cuor solo e un’anima sola. Senza l’umiltà e senza lo spirito di fede che mi fa vedere nell’altro, comunque egli sia, la presenza di Cristo, non vivo veramente secondo carità; e se non c’è la carità, non c’è la Chiesa che è la comunione dei santi.
«Umiliatevi dunque – continua l’apostolo Pietro – sotto la potente mano di Dio» (v. 6), mano potente che sostiene, protegge, salva, e che talvolta anche fa sentire forte la sua stretta. È infatti una mano che abbatte i superbi e innalza gli umili. Mai, però, il Signore rimprovera con durezza. Dice la Scrittura: «È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?» (Eb 12,7). Tutto quello che accade, anche tutto quello che dovete soffrire – dice Pietro ai cristiani – viene da Dio. Egli permette anche le umiliazioni, le prove, perché vuole provarvi, purificarvi e fortificarvi nella fede. Ma per trarre frutti di grazia da ogni situazione, occorre innanzitutto una grande fiducia in Dio, occorre credere che egli sa meglio di noi ciò che giova al nostro vero bene. «L’umiltà – diceva il santo curato d’Ars – è la fonte e il fondamento di ogni altra virtù, è la porta attraverso cui passano le grazie che Dio ci concede».
Se con umiltà riconosciamo di essere poveri e ci affidiamo a Dio, ricorrendo a lui nella preghiera, egli si rivela come “colui che si prende cura dell’uomo”. La fede ci farà subito scorgere nell’aiuto dei fratelli lo stesso Signore che ci viene incontro, che si fa presente mandandoci i suoi angeli.
Occorre anche – aggiunge subito l’apostolo – vigilare attentamente, perché se è vero che il Signore ci tende la sua mano, è anche vero che sempre il nemico – il leone ruggente, come lo chiama san Pietro – cerca di strappare le pecore al pastore, cerca di creare divisioni e dissensi all’interno delle famiglie e delle comunità… «Si aggira – scrive Giovanni Cassiano – intorno a ciascuno di noi come un nemico che assedia una fortezza e ne scruta le mura per vedere se c’è una parte debole e poco difesa attraverso cui far breccia ed entrare».
Parte debole e indifesa possono essere proprio i nostri egoismi, le nostre vanità, le nostre presunzioni, i nostri puntigli… Solo stringendoci a Cristo, pietra viva, possiamo resistere perseverando nella fede. La forza, la costanza nel resistere alle tentazioni è anche sostenuta dal pensiero che pure tutti i nostri fratelli si trovano in situazione di provacitazione sacra
Descrizione articolata anche su più righe,
utilizzando campi bold, italico
. Il cristiano che non indietreggia aiuta anche gli altri a resistere; il cristiano che rinnega la fede indebolisce l’intero corpo della Chiesa. Ognuno è sempre responsabile di tutti. È molto importante esserne consapevoli: nessuno vive per se stesso, ma è membro di un unico corpo.
Quando attraversiamo momenti di provacitazione sacra
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, facilmente non vediamo che noi stessi e ci lasciamo andare al lamento e allo scoraggiamento, diffondendo attorno a noi tristezza e pessimismo. Se guardassimo di più alle fatiche dei nostri fratelli, saremmo stimolati dal loro esempio e insieme troveremmo una maggior forza per patire offrendo a sollievo degli altri la nostra sofferenza.
È massima espressione di carità cristiana sostenersi a vicenda e aiutarsi reciprocamente a camminare con lo sguardo fisso alla mèta.
Jean Vanier, che è testimone di indicibili sofferenze in tante persone, conclude un suo libretto intitolato proprio Una porta di speranza, commentando il versetto di Osea: «Io trasformerò la valle d’Acor in porta di speranza» (Os 2,17). Scrive: «La valle d’Acor è la valle della cattiva sorte, delle gole pericolose vicino a Gerico, un luogo maledetto, dove brulicano serpenti, insetti, animali velenosi, il luogo da cui tutti si scostano, il luogo della sofferenza, il luogo della tua sofferenza da cui ti scosti, che temi, che cerchi di dimenticare, il luogo della paura di soffrire, il luogo della disperazione da cui ti scosti, che rifiuti, che scacci, che cerchi di dimenticare»; questa è la valle di Acor. «E intanto Dio dice: “trasformerò la valle di Acor in porta di speranza”.
Il mistero è là. Dio dice: “Se tu non fuggi, se tu penetri nel cuore della valle, nel profondo del tuo cuore, se tu accogli tutto ciò che ti fa paura, tutti coloro che rifiuti, tutti coloro che ti mettono in pericolo perché sono deboli, poveri, feriti, e fra loro prima di tutto il bambino ferito che c’è in te, quello che tu hai murato nel profondo da così tanto tempo, se tu l’accogli, se tu ti accogli, solo allora camminerai verso la guarigione e la valle di Acor diventerà la tua porta di speranza”» (Gribaudi 1998, pp. 73-74).
Per poter varcare la porta della speranza, bisogna partire dall’umiltà, dalla semplicità, ridiventare piccoli, umili, poveri, accettando di essere quel poco che si è, ma mettendo noi stessi come minimo obolo nel tesoro della Chiesa, nel tesoro della nostra comunità. Quanto più si è piccoli, tanto più ci si stupisce di quello che Dio ha fatto per noi e di quello che sempre va facendo servendosi della nostra povertà.

 

Dio di ogni grazia
che ci hai chiamati alla tua gloria in Cristo,
rendici saldi nelle fede e nella speranza
mentre, insidiati dal nemico,
viviamo giorni di lotte e di sofferenze
noi e i nostri fratelli
sparsi ovunque nel mondo.
Tu che ti compiaci degli umili
e ti prendi amorevole cura di loro,
rivestici di umiltà e di mitezza
per servirci a vicenda in carità sincera
e formare una schiera forte e compatta
contro i ripetuti assalti del divisore.
Protetti all’ombra della tua mano,
di giorno in giorno sarà più viva la nostra speranza
fino a quando apparirà il Pastore supremo
e saremo da Lui condotti alla fonte della vita,
con Lui coronati nel tuo regno glorioso.
Amen.

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